giovedì 31 gennaio 2013

Dolci sfratti e vecchie amicizie



Sfratti

 Mi piace quando qualcuno mi regala una ricetta.  Lo vivo come un dono, quasi come se offrendomi il proprio sapere, quel qualcuno, mi desse la sua fiducia, mi facesse partecipe del proprio mondo. Abitualmente sono io (diciamocelo) che scasso i maroni a destra e a manca per avere la ricetta di questo e quello e, quando invece, inaspettatamente, accade il contrario mi illumino. In genere aspetto un pochino poi, con calma la provo, sentendomi investita di una certa responsabilità perché so che l’altra persona aspetta la pubblicazione e ha delle aspettative che, il mio modo di cucinare o le foto potrebbero tradire. 


Anna l’ho conosciuta all’Università, era quella sempre puntuale alle lezioni, prendeva appunti stupendi che tutti le copiavamo, in pari con gli esami, una media da far paura e grandi occhiali da vista…..praticamente una secchiona pensavamo tutti. E invece no, era solo apparenza, la sua era una vera passione, lei sapeva cosa voleva dalla vita: fare la naturalista ed è forse l’unica del nostro corso che ci è riuscita. Precisa, caparbia, intelligente, generosa e limpida, abbiamo studiato tante volte insieme, ed ero sempre io ad imparare. Ricordo levatacce e orari da incubo per studiare e ripetere, in primavera a casa sua a Follonica con l’immagine dell’Isola d’Elba sullo sfondo, così vicina da poterla toccare. Niente, la signorina Rottermeier mi obbligava a studiare senza sosta….ma non la ringrazierò mai abbastanza per questo, i voti migliori li ho presi grazie a lei. 


Studiavamo e chiacchieravamo dell'Università, di noi, di ragazzi e di speranze per il futuro. Finita l’Università ci siamo allontanate, io a Camaiore e lei a Semproniano (GR) e, tranne qualche telefonata e notizie da terzi ci siamo un po’ perse. Grazie a Skype ci siamo ritrovate, scritte e raccontate e poi abbiamo deciso di rivederci a Pisa, io lei e Lucia, un’altra amica. La paura di Anna era quella di non riconoscerci quasi vent’anni dopo, macchè, è stato veramente come se il tempo non fosse mai passato: le risate, i racconti, prendersi in giro, tutto come una volta con una naturalezza che ha stupito tutte. Ho capito che l'affetto che provi per una persona rimane tale anche se non ti vedi, anche se ti perdi, anche se la vita ti cambia.
Dopo quel primo incontro abbiamo deciso che la cosa doveva ripetersi e a breve ci sarà un nuovo amarcord, un tuffo nel passato ma anche nuovi ricordi da costruire. 



Un giorno, poco dopo il primo incontro mi arriva un messaggio nel quale Anna mi raccontava di come una sua vicina (ora vive a Rocchette di Fazio, ridente paesello di ben 15 anime) fosse andata ad insegnarle a fare gli sfratti, dolcetti tipici di Pitigliano. Così mi ha regalato la ricetta con i consigli della vicina. Ecco dunque gli sfratti, dolci tipici della comunità ebraica di Pitigliano (GR) dalla forma allungata che ricorda un bastoncino. Il dolce infatti pare che simboleggi proprio il "bastone" usato per "sfrattare" gli ebrei dalle loro case appunto battendolo sulla porta delle loro case, nel '700, con l’arrivo dei Medici a Pitigliano.


Uova 5

Latte 1 bicchiere (200 gr)

olio di semi 1 bicchiere (200 gr)

Zucchero 500 gr

Miele 500 gr

Noci 500 gr

Lievito 1 bustina

Limone grattugiato 1
Farina q.b


Tritare le noci. Scaldare il miele in un pentolino fino a che non si caramella leggermente, quindi incorporare le noci tritate e, non appena il tutto non carbonizza più le mani, formare dei lunghi "vermicelli" dello spessore di circa un dito che si mettono a freddare sulla carta forno.

Per la pasta si lavorano uova e zucchero, poi si aggiungono latte, olio, limone, lievito e si aggiunge farina quanto basta ad ottenere un impasto omogeneo, ma abbastanza morbido

Si tira la pasta a formare delle lasagne. Meno sono larghe più saranno buoni i dolcetti perché il ripieno ne costituirà la parte preponderante. Ma non esagerare perchè altrimenti si spaccheranno durante la cottura e ne uscirà il ripieno.

Su ciascuna striscia si dispone un “vermicello” e pian piano si arrotola il tutto cercando che non si formino bolle d'aria. I rotolini si dispongono sulla teglia e si spennellano con l'uovo. Per cuocerli ci vogliono circa 25 minuti a 180°C (appena si sono colorati si tolgono).


domenica 27 gennaio 2013

Pici neri alla "trabaccolara"


Pici neri alla trabaccolara

Chi, camminando per le strade di Siena, San Gimignano o Pienza, non ha pensato di essere in un posto da sogno, borghi e città che trasudano storia, arte e cultura ad ogni passo, circondate da una natura che ancora detta i ritmi della vita quotidiana. Vicoli e vedute mozzafiato, chiese, mura, torri, trattorie, prodotti tipici, fontane, tutto rivela una dimensione lontana dai ritmi moderni, più pacata, più vera. Tale e tanta perfezione avrà pure un difettuccio! In effetti a Siena non c’è il mare,ammesso che questo sia un difetto.E invece no, niente di più sbagliato perché a Siena c’è il mare, se non ci credete leggete qui.


Oddio era un tantino di anni fa, ma consideriamo per ipotesi che la provincia di Grosseto sia solo una luuuunga spiaggia che affaccia Siena sul mare, ed ecco spiegato come anche i pici di mare diventino tradizione. Scherzi a parte, il lavoro del pescatore, come quello del contadino è un lavoro duro, che segue i ritmi della natura e che ha leggi e tradizioni ben codificate, l'uno la terra, l'altro il mare ma sono  due facce della stessa medaglia. Il sugo alla trabaccolara , tipico di Viareggio, prende il nome dal trabaccolo, un'imbarcazione utilizzata dai pescatori di San Benedetto del Tronto, alcuni dei quali si trasferirono a Viareggio tra l'inizio degli anni '20 e la fine degli anni '30. E’ un piatto povero, realizzato con i pesci di fondale, utilizzati solitamente per fare le zuppe.



Per i Pici - 4 persone: (dosi e consigli della Patty)

Farina 00 200 gr
Farina di semola rimacinata 100 gr
Olio extra vergine 2 generosi cucchiai
Sale 1 pizzico
Nero di seppia (una sacca o 1 bustina)
Acqua – qb –

Nota: La quantità di acqua è variabile dal tipo di farina che userete. In genere per questa quantità di farina un bicchiere o poco meno è sufficiente, ma sta a voi osservare quanta ne incorpora il vostro impasto per essere morbido e malleabile.
La proporzione dell'uso delle 2 farine è sempre 2:1, ovvero due parti di 00 ed una di semola rimacinata che conferisce struttura all'impasto. In questa maniera non avrete bisogno di uova. 
Mettere il nero di seppia in un bicchiere d’acqua tiepida, mescolare con un cucchiaio fino a completo scioglimento.
Fate la fontana con le due farine miscelate. Versate l’olio, il pizzico di sale e cominciate a versare lentamente l’acqua che avrete filtrato, incorporando la farina con una forchetta. Attenzione al sale. Non esagerate perché questo indurisce la pasta.
Quando la pasta comincerà a stare insieme, cominciate ad impastare con energia utilizzando il palmo delle mani vicino ai polsi. Se necessario, aggiungete acqua o farina.
Piegate la pasta su se stessa come quando impastate la pasta all’uovo e non stirate mai troppo l’impasto per non sfibrarlo.
“Massaggiate” con energia per almeno 10 minuti. Ricordatevi che la vostra “palla” di pasta è una cosa viva, dovete volerle bene.
Dovrete ottenere una pasta liscia, vellutata e abbastanza morbida. 
Fate riposare una mezz’ora avvolta nella pellicola.


Quando la pasta è pronta, tagliatene un pezzetto e fatene una pallina, quindi sulla spianatoia stendetela con il matterello ad uno spessore di 1 cm. Con un tagliapasta o un coltello affilato, tagliate tante striscioline larghe c.ca 1 cm e coprite il resto della pasta con la pellicola affinché non si secchi.
Cominciate a "filare" i pici, rollando la pasta con il palmo delle mani e contemporaneamente stirandola verso l'esterno. 
Quando si tirano pici molto lunghi, la tecnica è quella di tirarli da un lato tenendo l'altra estremità con il palmo e piano piano allungandoli fino ad esaurire la pasta. Una volta tirato il vostro picio, fatelo rotolare nella farina di semola o di fioretto affinché non si appiccichi agli altri. Una pasta morbida e riposata si tira con estrema facilità. 
Alcune Note importanti mentre preparate i vostri pici:
1. Non vi si chiede di tirare pici lunghissimi. Onestamente lo fanno in pochissimi e alla fine la lunghezza non influisce sul sapore. Quindi non vi preoccupate di questo.
2. Ricordate che la pasta cresce nella cottura. Il picio non deve essere troppo grosso altrimenti vi troverete con una pasta grossolana. La dimensione corretta è più o meno quella del bucatino.
3. Il picio non è perfetto! Non deve esserlo.
La sua bellezza deriva da bozze, schiacciature, diametro irregolare.
Insomma, si deve sentire la mano della donna che li ha tirati. Inoltre, se vi si rompono mentre li fate, pace! Avrete dei pici cortini. Si mangia tutto! Non state a preoccuparvi del loro aspetto. Il picio è un canto all'imperfezione!
4. Ricordatevi di spolverare i vostri pici con farina di semola o fioretto una volta fatti. Smuoveteli ogni tanto nella farina per fargli asciugare e non appiccicarsi. E scuoteteli con delicatezza prima di immergerli in acqua.
5. Il picio è una pasta povera, di terra……..e talvolta di mare!

Pesce di fondale (Triglie 2, Tracine 2, Nasello 1 Gallinella 1)
Aglio 1
Scalogno 1
Sedano, carota e cipolla per il fumetto
Peperoncino 1
Olio per soffriggere
Vino bianco  per sfumare
Pomodorini freschi 4/5
Prezzemolo una manciata

Pulire e sfilettare i pesci, lasciando gli scarti con i quali realizzare un fumetto di pesce, mettendoli a bollire in poca acqua e odori. In una padella, soffriggere nell’olio, aglio, scalogno e peperoncino. Tagliare a dadini i pomodori maturi e aggiungerli al soffritto. Sfumare con il vino e aggiungere i filetti di pesce interi. Aggiustare di sale. Scottare per 2 minuti i pici in acqua bollente salata e, ancora al dente, scolarli. Versarli nella padella insieme al pesce. Portare a fine cottura, aggiungendo via via, il fumetto di pesce. Condire con prezzemolo tritato.


Con questa ricetta partecipo all'MTC di gennaio2013





giovedì 24 gennaio 2013

Crema di topinambur, patate e porri con gamberi rossi


Crema di topinambur

Ecco, ci siamo, spesa fatta, ho comprato ogni ben di dio, ho girovagato per i corridoi del supermercato in cerca di questo e quello per quasi un’ora e mezzo, fermandomi a leggere etichette, ricette e ingredienti e poi, arrivo a casa e mi ricordo che dovevo andare al super, soprattutto per comprare il sapone per i piatti e l’ho dimenticato!  E ora di uscire di nuovo non se ne parla….. Mentre impreco contro me stessa penso a quanto sia cambiata la mia spesa da un anno a questa parte. Una volta compravo sempre le stesse cose, giravo un menù settimanale con qualche variazione occasionale, rifuggivo come la peste gli ingredienti particolari o appena diversi dal consueto e mi buttavo solo su ricette semplici. 


Appena sposata, ho acquistato un libro di Suor Germana (oddio) in edizione lusso che costava un occhio (spero che i proventi siano andati in beneficienza, ma dubito!), che ora giace chissà dove, nascosto sopra pile di altri libri, salvo, solo perché non riesco a buttare alcun testo. Ricette classiche e una cucina "di clausura" che ora mi sembra lontana anni luce.  Ora sono diventata l’esatto contrario, compro di tutto dicendomi che, prima o poi, troverò una ricetta adatta per quell’ingrediente, sono diventata famelica di novità, cucina etnica e prodotti di nicchia.


  
Ecco come sono arrivati sulla mia tavola i topinambur …….ma quanto è bello dire t-o-p-i-n-a-m-b-u-r, mi sono innamorata prima del nome poi,  rigirati per le mani varie volte mi sono decisa e li ho comprati. Un vago sentore di carciofo, mi avevano detto. Tanto è bastato perché mi convincessi. Mi è venuto naturale farci una crema con patate e porri e, per dare un tocco di colore e di gusto in più, ho aggiunto dei gamberi rossi. Comprati e ricomprati e ricomprati e........ancora e ancora.

Topinambur 500 gr
Patate 2 piccole
Porro 1
Zenzero fresco 2 cm
Scalogno 1
Aglio 1
Peperoncino 1
Olio
Vino bianco per sfumare
Brodo vegetale 1 lt circa
Gamberi rossi 10/12

Sbucciare i topinambur, le patate e pulire il porro. Scaldare un filo d’olio in una casseruola e far appassire lo scalogno poi buttare i topinambur, le patate e il porro tagliati a pezzetti. Far rosolare bene e unire lo zenzero sbucciato. Versare il brodo e lasciar cuocere per 30 minuti. Frullare tutto con il minipimer.
Sbucciare e lavare i gamberi e farli rosolare in due cucchiai d’olio messi a scaldare con aglio e peperoncino. Salare e sfumare con un goccio di vino bianco (o cognac).
Versare la crema nei piatti e unire 3 gamberi a testa con un cucchiaio i fondo di cottura. 


Con questa ricetta partecipo  contest Color & Food,